Live Report: Blur, Lucca

Blur @ Lucca Summer Festival, 22/07/2023

Credo che queste recensione sarà letta pochissimo: il pubblico di riferimento di questo blog ascolta spesso altri generi e gruppi meno mainstream, mentre i fan e chi segue i Blur o era interessato all’evento ha sicuramente letto gli altri report usciti nei giorni successivi. E anche come posizionamento sui motori di ricerca, parole chiave e tutte le stramberie moderne annesse e connesse qui siamo messi male; sapremmo anche (più o meno) usarle qui al quartier generale di Oi! Senza Pietà, semplicemente non ce ne frega una ceppa. Non ci interessa essere sul pezzo e non ci interessano i big likes, scrivere su questo blog è più che altro un passatempo e un modo per documentare ciò che accade.
Abbiamo quindi una recensione che esce fuori tempo massimo con foto bruttine, video al limite del decente (e non dei pezzi più famosi, che quando facevano quelli io ero impegnato a godermi l’attimo, scusate tanto). E con questa introduzione mi sono giocato probabilmente l’80% dei lettori rimasti… Per chi non è fuggito, possiamo continuare…

Considerato il concerto dei Pulp di 20 giorni prima, definirei questo come il mio “luglio del brit pop”, arrivato forse con quei 20-30 anni di ritardo (ma, appunto, che ci frega di essere alla moda). Faccio di nuovo mie (che strano autocitarsi, è una sorta di masturbazione) le parole usate nella precedente recensione, in quanto anche i Blur “non li avevo mai visti dal vivo (troppo giovane o troppo povero per permettermi i loro biglietti, o anche troppo giovane e integralista per pensare di partecipare a qualche grosso, e magari pomposo, festival indie-rock)”. In questo caso i biglietti li avevo presi appena aperte le prevendite, con la mia ingenuità punk che si era fatta un bel bagno di realtà nello scoprire il magico mondo delle app per fare i biglietti, delle prevendite tramite radio, dei biglietti “per il pit” e delle corse (telematiche) per evitare il temuto sold out. Senza ovviamente considerare il prezzo non certo “in offerta” (per non usare la definizione ben più calzante di “abominevole furto”) del biglietto, altro tasto decisamente dolente. Tutto nuovo (e non particolarmente piacevole) per un ragazzo da circolino e baretto come me, ma questa volta non c’è amor proprio che tenga: prima che sia troppo tardi (e che siano troppo vecchi) i Blur voglio vedermeli.
Credo che il britpop e un certo tipo di rock inglese affine (dai Blur agli Oasis, dai Pulp ai Primal Scream, dagli Suede ai Manic Street Preachers), una volta cambiati i tempi e tramontate definitivamente certe ondate degli anni ’80, siano stati allo stesso tempo eredi e linfa vitale del movimento mod, che ha potuto rinnovarsi e rivivere ancora, arrivando ad influenzare ancora una volta anche il mondo manstream (il mod è una delle poche sottoculture, forse l’unica, a poter fare anche questo senza per forza snaturarsi). Tutto questo in maniera a volte consapevole (mi vengono in mente gli Ocean Colour Scene) e a volte molto meno, ma comunque in maniera filologicamente corretta.

Partenza direzione Lucca da gran signori: pullman di brutta gente (stile gita delle medie) che ci porta direttamente a Lucca, dove assaltiamo un paio di pub. Dopo esserci bagnati abbondantemente la gola arriviamo alla zona concerto passando i controlli in maniera inaspettatamente veloce e semplice, ed entriamo nella famosa area pit. Il luogo del concerto è innegabilmente bellissimo, il prato in mezzo alle mura storiche di Lucca, uno scorcio davvero affascinante. Certo, ci sarebbe da pensare quanto sia sostenibile uno spettacolo del genere, con 35.000 persone che saltano e sporcano, impianti sparati a millemila megawatt, montaggi e smontaggi di palchi da migliaia di tonnellate, ecc. Credo che sia giusto che le opere d’arte e storiche siano vissute e si integrino nel vissuto di una città e non rimangano in delle teche asettiche come fossero dei musei a cielo aperto, ma siamo sempre in bilico tra lo sfruttare giustamente tali tesori e lasciare che delle opere che dovrebbero essere pubbliche arricchiscano dei privati.

Non so se sia stata la loro etichetta o loro stessi a pagare per aprire il concerto, ma mi sento di dire ai Sounds Mint che sono stati soldi buttati. Non è nemmeno una questione di come han suonato, è proprio che così, in pieno sole, con la gente che si faceva beatamente i cazzi suoi e chiacchierava, un palco enorme sul quale sembravano formichine (e su cui non sembravano del tutto a proprio agio), volumi bassissimi, e uno sfondo bianco anonimo sul quale era scritto solamente il nome della band (in certi contesti il minimalismo è una cazzata) non credo abbiano impressionato nessuno. Ho provato a concentrarmi su un paio di loro canzoni, ma davvero non ci sono riuscito, mi sembrava giusto una specie di rock inoffensivo, ed ho lasciato perdere. Niente foto (ne ho fatte un paio ma erano davvero indecenti, lasciamo perdere).

Ed ecco che arrivano le 21.30 e, finalmente, cala dall’alto la mega scritta Blur e saltano sul palco i quattro ex ragazzini dell’Essex (non salta molto, a dire il vero, Dave Rowntree, il batterista, che armeggia con le stampelle dopo una recente caduta casalinga). Damon Albarn è sempre fico in giacca e polo, ma qualche anno è passato e io mi prendo la rivincita nel notare qualche chilo in più (rivincita amara, in quanto di chili in più ne ho qualcuno anche io). Erano 10 anni che non suonavano in Italia, e l’entusiasmo del pubblico è palpabile. Introdotti dal tema di “The debt collector”, iniziano con “St. Charles Square”, tratta dal nuovo album, uscito proprio il giorno prima del concerto. La scaletta alla fine presenterà solo 3 canzoni del nuovo album (tra cui “Barbaric”, che sarà il primo dei bis e che verrà suonata per la prima volta dal vivo proprio in quest’occasione) per pescare invece dai loro primi dischi (evviva). Grande spazio quindi ai brani di “Parklife” e “Modern life is rubbish” (il mio preferito, disco che peraltro festeggia i suoi 30 anni), con addirittura “There’s no other way” suonata per seconda e tratta dall’album di debutto del gruppo, il sicuramente meno conosciuto “Leisure”.

Le prime due canzoni sono forse di riscaldamento, perché subito dopo si inizia a fare sul serio con “Popscene” (una delle loro migliori cartucce) e la potentissima “Tracy Jacks”. Da lì avanti fino alla “Villa Rosie”, dove accade il patatrac su cui molto è stato detto.

Nel caso non foste al corrente della cosa (che ha fatto incazzare mezzo mondo) è presto detto, in pratica verso la fine di “Villa Rosie” il suono sparisce, va via del tutto; sembra quasi che qualcuno abbia staccato gli amplificatori. Per qualche secondo non capisco nemmeno cosa stia succedendo. I Blur la prendono da professionisti navigati (e vorrei anche vedere), scherzandoci sopra e con Damon Albarn che si piazza al piano a suonare “Intermission” con il resto della band che lo segue per un soundcheck fuori programma davvero gustoso.
Ora: a parte l’eresia di interrompere brutalmente una canzone come “Villa Rosie”, in fondo non è che sia successo un granché. Certo, per un concerto con 35.000 persone che hanno pagato fior di quattrini la cosa è un po’ imbarazzante, ma errare è umano, non mi metto di sicuro a stracciarmi le vesti.
Guardando però l’organizzazione generale dell’evento, alcune cose devo dirle. Al contrario di quanto accaduto coi Pulp, dove i bar erano inavvicinabili, stavolta si riesce a prendere da bere in condizioni normali; certo, bisogna sottostare al ladrocinio legalizzato dei token, un ottimo modo per fregare soldi alla gente. Tanto per fare un esempio, si potevano comprare 5 token a 20 euro o 10 token a 40; panini e birra costavano due token (quindi una birra 8 euro, alla faccia del cazzo), il che significava che se compravi 5 token di uno non sapevi cosa fartene (sì, ok, l’acqua costava un token, ma a me dell’acqua interessava poco). Ma, cosa anche più importante, mi sono goduto il concerto principalmente perché avevo acquistato il biglietto per l’area pit, quindi quella sotto il palco. Un’area pit che era davvero esageratamente grande, costringendo il resto del pubblico ad essere davvero distante dal palco. Palco che presentava due megaschermi davvero piccoli e posizionati troppo in basso perché potessero davvero essere utili (non voglio immaginare cosa sia riuscito a vedere qualcuno un po’ bassino con un biglietto “normale”). Dulcis in fundo, non c’era un megaschermo sulla torre del mixer, il che è assurdo perché, visto che la torre del mixer nasconde il palco alla vista, almeno può essere utilizzata come appoggio di un megaschermo, cosa che ho visto fare in qualsiasi altro concerto. Anche considerato che l’area del concerto era profonda ma non molto larga, cosa che immagino abbia portato molta gente ad essere davvero lontana dal palco senza schermi adeguati a compensare il problema. E stiamo parlando di biglietti venduti a 52 euro… un po’ di rispetto in più per il pubblico non avrebbe guastato, anche se capisco che sia del tutto inutile aspettarsi comprensione o umanità dagli organizzatori di certi concerti.

Ma torniamo ai nostri amici Blur; ripartono con “Coffee & TV”, cantata da Graham Coxon, che obiettivamente è bellissima ed emoziona grandi e piccini. A seguire “End of a century”/ “Country house”/ “Parklife” sono tre canzoni che fanno la felicità di ogni fan dei Blur. Il buon Damon però non ci arriva tantissimo con la voce, su “End of a century” va addirittura un po’ fuori tempo e su “Parklife” si fa furbescamente aiutare dal pubblico che canta a gran voce. E quando arrivano ad “Advert”, una delle mie canzoni preferite di sempre, non capisco bene che succede ma c’è qualche momento di cacofonia totale. Si riprendono completamente però con “Song 2”, con la gente che si lancia in un pogo collettivo scatenato (quando inizia la canzone la gente intorno a me in pratica sparisce improvvisamente, risucchiata dalla calca). Subito dopo ecco la decisamente più tranquilla “The narcissist”, una delle migliori tracce del nuovo album (mi si è appiccicata in mente da allora e non va più via).

Finto finale per poi ricominciare con i dovuti bis, si parte con il già citato “Barbaric”, per poi passare ad una “Girls & boys” con Damon che si presenta sul palco in un tracktop Fila che richiama quello del video dell’epoca (o è proprio quello?) e mi riporta magicamente indietro nel tempo, anche se la canzone la suonano inaspettatamente lenta. C’è ancora tempo (con Damon che eroicamente tiene addosso la felpa nonostante il caldo torrido) per stonare alla grande su “For tomorrow” (e i suoni impastati non aiutano), prima di chiudere con “Tender” che, anche se non è tra i miei pezzi preferiti, riesce ad ammaliarmi e a farmi emozionare, e con “The universal” che piace a tutti ma che mi lascia indifferente (non capisco come mai sia una delle loro canzoni più apprezzate, davvero, per me è un mistero totale).

Insomma, ho finalmente visto i Blur dal vivo, sono decisamente contento, valeva assolutamente la pena di infilarsi in una bolgia simile e anche farsi spennare. Se musicalmente qualche cazzatina l’hanno fatta, c’è da dire che han suonato con energia, stile, senza indugiare nella semplice nostalgia ma dimostrando che sono ancora una band che ha molte cose da dire, non dei bolliti che vanno avanti coverizzando se stessi o ricordando e celebrando semplicemente i tempi in cui erano giovani. Sono anche piuttosto curioso di ascoltare seriamente il loro nuovo album, perché qualche aspettativa me l’hanno fatta venire.

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