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  • Partirò per Bologna 2024

    Partirò per Bologna 2024

    Banda Bassotti + Brigada Flores Magon + Bluebeaters + Uppertones + Gang + Dalton + Magnetics + Zona Popolare + Montelupo, Estragon, Bologna 20.04.2024

    Oh boh, se hanno funzionato gli articoli precedenti procediamo anche con questo. Eccoci di nuovo sul luogo del delitto alla nuova edizione del Partirò per Bologna, abbiamo fatto 30 facciamo 31, come si usa dire. Arriviamo all’Estragon dopo un viaggio con una media di 40 gradi (ah come li rimpiangeremo nei giorni successivi) ed entriamo appena prima che si scateni la tempesta. Hanno appena aperto, per cui dentro c’è ancora poca gente, un paio di giri veloci e attaccano a suonare.

    I primi sono tali Montelupo, il cantante è quello del Muro del Canto (oppure è il suo gemello con le stesse corde vocali), fanno cover in chiave folk di canzoni ottocentesche anarchiche, il che è apprezzabile pure per circa 3-4 minuti, dopodiché personalmente mi scasso le palle e rimpiango la tempesta; comunque in generale non c’entrano un cazzo con questo blog (la famosa “linea editoriale” cioè si parla di musica sottoculturale e stop, non usciamo dal seminato… e daje di risate e colpi di gomito) e quindi passiamo oltre.

    E per oltre intendo gli Zona Popolare feat Rude dei mai troppo rimpianti Ghetto 84 (che poi ogni tanto ì Ghetto suonano ancora, ma secondo me ì Ghetto 84 potrebbero suonare ad ogni concerto Oi è ancora non sarebbe abbastanza e poi io rimpiango un po’ il cazzo che mi pare e piace). Gli Zona Popolare hanno qualche pezzo fico e qualche pezzo che non mi ha mai detto nulla, però con un personaggione come Rude acquisiscono quella marcia in più che me li fa apprezzare davvero tanto, e poi finiscono con la cover di “Feccia” dei Ghetto, e insomma che ve lo dico a fare… bravi bravi.

    Secondo gruppo sono i Magnetics feat. Bunna (Africa Unite). Peccato che Bunna non si vedrà manco per sbaglio (peccato sì, perché ero curioso di vedere sto featuring); non solo, ma non verrà nemmeno citato da Olly e soci, il che contribuirà a far girare voci incontrollate che daranno il rasta torinese impegnato nel battere 20 a 0 la nazionale inglese segnando di testa su calcio d’angolo… come sapranno i frequentatori assidui di questo blog, i concerti dei Magnetics al sottoscritto piacciono o non piacciono a seconda dell’influenza degli astri, in questo caso probabilmente Venere era in linea con Plutone o chissà cosa si dice in questi casi, perché il concerto l’ho apprezzato, buona scelta dei pezzi e buona riuscita, almeno a mio parere.

    Andiamo avanti coi Dalton, che ci regalano un’ottima (anche se breve) prestazione, energica e rabbiosa. Pochi fronzoli, apprezzo che nonostante fossero in pratica l’unico gruppo Oi della serata, se la siano giocata onestamente fino in fondo senza addolcire il loro suono (che poi non fanno propriamente Oi nemmeno loro, ma forse avete capito quello che intendo dai). Verso la fine del concerto Giallo ruzzola felice tra la folla. Non fanno “Marianne”, che secondo me è una delle più belle canzoni Oi degli ultimi anni (e anche oltre) ma vabbè, non si può avere tutto. Chiusura con bis (sembrerebbe non previsto) con “Estate”.

    Si passa ai Gang, che con mio sommo dispiacere sono in versione acustica e non con la band al completo. Dico con mio sommo dispiacere perché li avevo già visti qualche mese fa in versione acustica e non che mi fossero dispiaciuti, ma speravo che a sto giro suonassero con tutti i crismi… niente da fare. In queste vesti quindi non sto a recensirli perché esulano dal nostro contesto. Suonano pochissimo e (e qui mi dispiace davvero) non fanno “Sesto San Giovanni” che è tipo una delle 10 canzoni più belle della storia. Peccato.

    Tocca agli Uppertones, anche loro un trio ma loro suonano proprio così di loro, quindi non c’è da stupirsi. Devo dire che nel contesto del festival di oggi secondo me sono un po’ pesci fuor d’acqua, il loro è un misto di generi, swing, ska, reggae, soul, boogie, rock and roll e boh, aggiungete più o meno qualsiasi altro genere e sicuramente nel calderone di T-Bone e soci qualche influenza ce la trovate… un mix raffinato e stiloso ma non molto “militante” diciamo così. A me piacciono, non da strapparmi i capelli (che non ho) ma sicuramente un buon intermezzo intrigante, anche se forse il loro set è stato un po’ troppo lungo (me ne perdo un pezzo anche per concedermi qualcosa da mangiare, che la serata è lunga). La scelta di non avere basso e chitarra ad un certo punto fa perdere un po’ di mordente, diciamo così (poi per carità Phil Cuomo è bravissimo al piano, ce ne fossero).

    A questo punto spazio ai Bluebeaters, che non avevo mai più visto dai tempi del Giulianone Palma, pensate un po’, si parla della preistoria. Ecco, devo dire che loro non mi hanno convinto. Il nuovo (vabbè, nuovo si fa per dire) cantante per essere bravo è bravo, ma non mi piace, non mi piace come è vestito, non mi piace come presenza sul palco, non mi dà emozioni. Spiace perché la qualità dei musicisti è davvero molto alta, e alcune canzoni sono innegabilmente buone, ma non scatta la scintilla tra me e la band. E anche il suono ogni tanto (le canzoni più recenti) sembra un po’ troppo patinato. Per onor di cronaca devo anche riportare che molti hanno apprezzato e sotto il palco si skankeggiava assiduamente.

    Si ritorna al punk/oi con l’unico gruppo estero, i Brigada Flores Magon dalla Francia (avrei detto Parigi, ma da quanto ne so ora i BFM vivono sparsi per tutto il territorio d’oltralpe). Nonostante sia risaputo che io adori l’oi! francese, i Brigada non sono mai stati tra i miei gruppi preferiti; ho sempre ascoltato diversi loro pezzi e in certi casi li ho apprezzati, ma sono sempre stato un po’ freddo nei loro confronti. In parte anche perché, e ora devo spiegare bene perché altrimenti rischio di scatenare delle polemiche sterili e non volute, ritengo che i Brigada e la RASH francese/parigina abbiano fatto negli anni anche dei danni alla scena francese. E non perché “comunisti cattivi”, “gli antifascisti sono i veri fascisti” o altre frasi fatte del genere, ma perché in certe occasioni ritengo che sia meglio unire, o almeno provare a farlo, che dividere pretestuosamente, senza richiudersi nella torre d’avorio della purezza fomentando divisioni. Io capisco anche l’epica dei redskins parigini, le difficoltà di una scena come quella francese che era diventata per un periodo ricettacolo di fascismi vari, ma finito un certo periodo in Francia c’è stata anche una caccia alle streghe poco giustificabile, e si è assistito alla trasformazione di parte della scena skinhead in qualcosa di basato esclusivamente sulla politica. Infatti ad esempio quando i BFM salgono sul palco a livello stilistico sembra di vedere la peggio band hardcore, tra pantalonacci corti e canotte. Ma, tolto questo particolare, i Brigada Flores Magon fanno un concerto della madonna. Potenti, precisi, coinvolgenti e carichi, energia da vendere e anche buona tecnica. Li avevo già visti in passato (senza rimanerne troppo colpito) ma questo è stato senza dubbio il loro miglior concerto. Piacevolmente stupito, ottimo mix tra canzoni vecchie e nuove (l’ultimo album non l’ho ancora sentito a dire il vero, a sto punto forse me lo prenderò pure). Diamo a Cesare quel che è di Cesare (non ho alcun problema a riconoscerglielo), davvero bravi.

    La Banda Bassotti al Partirò per Bologna non è un concerto, ma la cosa più vicina ad una funzione religiosa che possa esistere per un ateo. Questo detto come complimento eh. Un’esperienza che mescola canzoni, striscioni, cori, bandiere, discorsi, ricordi, energia, allegria, impegno, sudore… inutile quindi parlare di scalette, tecnica o altre definizioni che si userebbero per un concerto “normale”; si tratta di una festa, e credo che non possa esserci nessuno all’interno dell’Estragon che non abbia apprezzato (e se qualcuno non ha apprezzato non capisco davvero che ci facesse lì, si era evidentemente perso). Segnalo giusto una (inevitabile visto quanto accade nel mondo) versione dal vivo di un vecchissimo classico come “Nazi Sion polizei” che credo non venisse eseguita da decenni. Ah, ovviamente faccio lo stesso video alla Banda che avevo fatto al Partirò per Bologna versione 2023 (ovviamente non me ne ricordavo, me ne sono accorto quando l’ho caricato sul canale). Boh, provate a confrontare i due video e vediamo se trovate differenze tra le due annate.

    Finita la Banda l’Estragon si svuota piuttosto velocemente (non è poi così tardi, dove andate tutti?) lasciando qualche irriducibile a ballare al dj set finale. Il Partirò per Bologna rimane un classico, una bella festa e un bel mix tra stili diversi di intendere, sostanzialmente, le stesse cose.

  • Live Report: Festival delle Etichette Indipendenti 2024

    Live Report: Festival delle Etichette Indipendenti 2024

    Crummy Stuff + Chromosomes + Tullamore, Barrio’s, 21.04.2024

    Ed eccoci anche quest’anno al Barrios per l’appuntamento con il Festival delle Etichette Indipendenti, che purtroppo capita sempre il giorno dopo il Partirò per Bologna (di cui vi parlerò a breve, pazientate), per cui arriviamo al Barrio’s che 1) siamo decisamente provati 2) buona parte delle band hanno già suonato. Peccato, perché ero molto curioso di vedere i Siouxsie & The Skunks, che non ho mai sentito ma che hanno un nome meraviglioso e avevano un merch comprensivo di calzini per bambini e mutande assolutamente fenomenale.

    L’atmosfera al Barrio’s è molto bella, tanti banchetti, un numero di persone presenti comunque ragguardevole, insomma l’organizzazione sembra essere stata buona, complimenti alle persone coinvolte!

    Quando arriviamo stanno suonando i Tullamore di Pavia; non so se ho mai parlato di loro su queste pagine ma premetto che non sono mai stato un loro fan. In generale sono sempre sospettoso col celtic punk, che ritengo sia un genere rischiosissimo da fare: il 99% delle band che lo suonano sono una uguale all’altra, a livello di suono, di immagine, di tutto. Due palle in pratica. Capiamoci, io adoro i Pogues, però non è che di Shane McGowan ne nasca uno ogni cinque minuti. I Tullamore non fanno eccezione e mi danno sempre l’impressione di già visto/ già sentito o di triste festa di San Patrizio per universitari fuori corso, in più a questo giro mi sembrano anche poco coinvolgenti e gli manca quella rusticità da uligani da campetto del CND che a volte me li ha resi simpatici. E in scaletta non c’è nemmeno l’unico loro pezzo che mi piace davvero, “Bassa Padana Skinheads”, chissà perché.

    Ora tocca ai Chromosomes, trio punk rock livornese che ha allietato tante mie serate di quando avevo 16-17 anni. Sono tanti anni che non li vedo dal vivo e ho un ottimo ricordo delle loro performance, che ricordo come folli e divertentissime. Al netto di qualche anno in più (e della capigliatura rasta in meno del chitarrista), i labronici fanno uno show divertente e appassionante, anche se purtroppo qualche problema di natura tecnica (testata del basso) li costringe a interrompere per qualche minuto il set, minuti che non possono essere (sigh) recuperati visto che gli orari sono calcolati con precisione svizzera. Niente cover degli Oliver Onions ma gran concerto, i Chromosomes si confermano una signora punk rock band.

    Per finire la serata ecco un nome da 90 del punk rock italiano, ovvero quei Crummy Stuff che a fine anno 90/ inizio anni 2000 ci hanno deliziato con alcuni ottimi album punk rock. In formazione c’è anche Nando dei Senzabenza alla seconda chitarra, bell’acquisto. One-two-three-four e via alle danze, con la prima fila del pubblico in versione all-female… ci sta!

    Bel set, spazio a tutti i classici (“Fuck Europe”, “Never trust a punk”, “Punk’s not sad”, “Monday I’ll be back” e grande conclusione con “Amsterdam” cantata da tutti i presenti. Concerto divertente, ben suonato e ricco di energia, assolutamente niente da dire, anzi, ce ne fossero di band così. Alla fine sono riuscito a vedere solo 3 band, ma almeno 2 di queste valevano sicuramente il viaggio! Bella serata, anche se scappiamo appena alla fine del concerto in quanto siamo davvero a pezzi…

  • Live Report: Skeptix + Point Break + Linguini

    Live Report: Skeptix + Point Break + Linguini

    Ponte della Ghisolfa, 14.04.2024

    E insomma, io avevo già deciso di scrivere sto articolo, poi ho sbagliato a impostare la programmazione sul canale YouTube e i video si sono pubblicati da soli… sabotaggio!!!

    Eh vabbè, proviamo sta versione di WordPress da cellulare, che già a fare il primo accesso ci ho messo una vita e mezza… non sono più er ghepardo di una vorta…

    Rara immagine del vostro Oi! Influencer mentre cerca di installare l’app di WordPress

    Eccoci qui di nuovo, come state? Io non ho mai un cazzo di tempo per scrivere le mie solite due puttanate, però ho pagato già in anticipo il rinnovo del dominio, quindi ogni tanto qualche vaccata mi tocca pure buttarla giù, tanto vale…

    Domenica di ripiglio post sbronza della sera prima, eppure che fai, non te li vai a vedere gli Skeptix? Data evento, io non solo non pensavo che suonassero ancora gli Skeptix, ma manco che fossero ancora vivi… cioè sì, sapevo che erano in cartellone in qualche festival negli USA, ma io non sono nemmeno del tutto convinto che gli USA esistano davvero, secondo me il mondo finisce alle Colonne d’Ercole… “Perché io, Stato me so’ messo d’accordo co le compagnie aeree: te famo credere che la tera è rotonda così er biglietto da Roma a New York te costa du’ milioni e mezzo perché te ce vogliono venticinque ore. Lo sai quanto ce vole da Roma a New York ? Venticinque minuti ! L’aereo arriva dopo mezz’ora e poi pe’ diciannove ore e mezza te gira attorno!” (citazione solo per veri intenditori, gli altri si sputino in faccia da soli che io ho la gola secca)

    Vabbè va, arrivo al Ponte in leggero ritardo, c’è già un po’ di gente ma per fortuna gli orari non sono precisi al 100% per cui faccio a tempo a godermi l’inizio dei Linguini. Che poi io i Linguini li avevo già visti live una volta, solo che ero così sbronzo che manco me li ricordavo, ma vabbè, è un’altra storia lasciamo stare… i Linguini fanno… boh, post hardcore? Forse è math core, non lo so, non ho mai capito cosa sia il math core, ma in matematica non sono mai stato bravo quindi ci sta. Sta di fatto che io di sta musica non ci capisco niente e non è molto in sintonia con la linea editoriale del sito (ho scritto per davvero “linea editoriale” AHAHAHAH ma vi rendete conto? Cioè troppo da sito vero, il prossimo passo sarà che mi iscrivo all’ordine dei giornalisti). Tecnicamente sono bravi, pestano forte, fanno un sacco di casino, poi non è il mio genere, chiedete info a chi è più competente di me. Suonano il giusto, alla fine fanno un pezzo HC classico che è quello che riprendo col mio telefono, solo che ho il telefono intasato di cazzate e quindi prima della fine si interrompe la registrazione e vi beccate quello che son riuscito a registrare senza un finale perché nel tempo che cancello un paio di video han finito di suonare. Ecco qualche foto e il link al video, come al solito (non so come verranno perché sto facendo tutto dall’app e per me è la prima volta, please be kind oh oh oh oh oh)

    Secondo gruppo, i Point Break che in Ghisolfa sono quasi di casa. Mi perdo l’inizio (anche più dell’inizio, quasi metà), perché sono a cazzeggiare, e mi dispiace perché a me i Point Break sono sempre piaciuti. Purtroppo c’è poca gente, si vede che la gente è venuta proprio per gli inglesi e vabbè oh, mica puoi fargliene una colpa. Però i Point Break si meriterebbero un po’ più di partecipazione, perché alla fine sono un gruppo che è sempre stato schietto e sincero, 100% DIY, i pezzi sono buoni (anche se forse la scaletta è un po’ lunga), punk-hc melodico ma potente, forse gli manca un minimo di energia rispetto ad altre volte. Vabbè credo proprio che non sarà l’ultima volta che li vedo. Apprezzabile il fatto che cantino qualche canzone in spagnolo, troppo inglese alla lunga rompe le palle.

    A questo punto tocca agli inglesi, i punx fremono. Non ho capito se è la formazione originale, credo almeno 2/3 su 4 se non vado errato, il bassista l’ho visto anche coi Business, ma era quello dei Discharge? Vacci a capire qualcosa in sto giro di vecchi punk. Il cantante (sì, lui è quello originale, son sicuro) ha troppo una faccia simpatica, sale sul palco (che poi siamo in Ghisolfa, vallo a chiamare palco) e butta via la stampella che lo accompagnava da tutto il giorno. Poi si toglie pure la maglietta rivelando il classico fisicaccio da inglese in pensione. Vabbè, puro punk 82, gli Skeptix sono questi (e non credo abbiano mai voluto essere altro), prendere o lasciare, se devo essere brutalmente onesto non è che siano mai stati uno dei miei gruppi preferiti, ma è innegabile che siamo stati tra i pionieri di un certo suono e che abbiano contribuito a definirlo in maniera decisiva. Al momento sono quattro vecchiacci che si divertono, e si divertono tanto, si vede la differenza tra gruppi come questo che fanno poche date per il gusto di farle e altre band che suonano perché devono suonare mentre vorrebbero essere a casa a mangiare il pudding coi nipoti. Pogo e singalong a tratti (è pur sempre domenica) ma la gente apprezza. Non saranno tecnicamente perfetti (ogni tanto secondo me neanche loro sanno che cazzo stanno a fà) ma pestano e divertono forse anche più delle aspettative. Fanno pure un bis non in programma. Bravi Skeptix insomma, promossi a pieni voti!

    Appena finito il concerto io me ne scappo a casa. Oh, anche io sono vecchio…

  • Live Report: Eater + Wonk Unit + JoJo & The Teeth, Milano, 03.12.2023

    Live Report: Eater + Wonk Unit + JoJo & The Teeth, Milano, 03.12.2023

    Il ritorno di Oi! Senza Pietà sovrastato dal ritorno degli Eater

    E chi pensava, a fine 2023, di vedersi un concerto degli Eater? Una bella sorpresa, con la formula del matinèè domenicale del Barrio’s che continua a funzionare benissimo e a macinare ottimi colpi. Posto piuttosto pieno, varie distro presenti e bell’atmosfera. Gli Eater, con il solo immarcescibile Andy Blade a portare avanti la baracca, dopo pacchi vari ed eventuali negli anni scorsi, hanno inciso quest’anno un nuovo 7″ (“Ann”) e quindi hanno deciso di fare qualche data (pochissime a dire il vero); una di queste, fortunatamente, è a Milano.

    Iniziano i Jo Jo & The Teeth da Londra, che poi sono la backing band di Andy Blade. 4 giovani ragazzi che fanno una sorta di glam rock con qualche influenza punk e qualche piccola strizzata d’occhio a Amyl & The Sniffers. La cantante è pesantemente truccata tanto da ricordare il Rocky Horror Picture Show e ha delle scarpe con dei tacchi altissimi che mi fanno temere per la sua incolumità appena accenna a mezzo passo, ma ha una voce davvero eccezionale, da cantante professionista; per il resto il set oscilla tra qualche bella canzone ed alcuni pezzi che davvero mi fanno rotolare i maroni per terra. Non credo che sia colpa del gruppo, che sa quello che fa, è che proprio non è il mio genere.

    I secondi invece sono gli Wonk Unit, di cui avevo sentito parlare e di cui avevo ascoltato qualche canzone qua e là sull’internet. Ero moderatamente curioso ma davvero non mi aspettavo che il loro concerto fosse una bomba assoluta! Quando sono saliti sul palco non gli avrei dato un euro (vista anche la censurabilissima maglietta dei Genesis del batterista), ma il loro concerto è stato divertentissimo, uno dei migliori che abbia visto da molto tempo a questa parte. Sebbene il loro accento fosse non proprio semplicissimo da capire (vengono da Croydon, periferia sud di Londra… quando sarà il turno degli Eater Andy Blade li prenderà simpaticamente per il culo dicendo che lui non ha capito nulla di quello che dicevano), il loro simpatico cantante (dalla parlantina più che sciolta) riesce a coinvolgere tutti i presenti dando vita ad uno show entusiasmante. Mi ricordano gli Snuff o i Dirt Box Disco come attitudine, per la musica si passa con estrema facilità dal punk rock di scuola Lookout a qualche pezzo con reminescenze skacore e a qualche canzone quasi hardcore old school (vedi la loro “Depressed”, tra l’omaggio e la presa per il culo ai Black Flag). Inoltre l’aggiunta di tastiere rende il suono ancora più vario ed eclettico, con la tastierista che canta anche un paio di canzoni. Concerto lunghetto (mi sa più di un’ora) che però non annoia mai, con punte di genialità come in “Christmas in a crackhouse” o “Horses”. Clamorosi, sono diventato un loro fan assoluto e consiglio a tutti voi miei affezionati di seguirli!

    Gran finale (in ritardissimo sulla tabella di marcia) con gli Eater. Andy Blade è inaspettatamente in gran forma, la backing band è carica e molto competente, i classici del loro storico “The album” sono leggermente modernizzati e suonano belli freschi e potenti, spazio anche al nuovo singolo “Ann” (che vendono ad una cifra esorbitante al tavolo del merch).


    Non è che gli Eater abbiano una discografia sterminata, quindi le canzoni potete ben immaginarvi quali fossero (“Outside view”, “Public toys”, “No brain” ecc), compresa la cover di “Waiting for my man” (clamorosamente assente invece “Sweet Jane”). Il pubblico è numeroso e regge fino alla fine supportando la band con una certa (inaspettata?) energia. Gran finale con l’attesissima “Thinkin’ of the USA” che trovate immortalata qui sotto. Ottimi Eater, davvero non mi aspettavo un loro ritorno così in forma, la formazione dà la giusta energia ed Andy Blade non è il bolso vecchiaccio che ci si potrebbe aspettare. Gran serata, insomma, brave le band, bravi organizzatori, bravo pubblico, bravi tutti.

  • Live Report in Pillole: Cuero + Sempre Peggio + Dirty Job 18.10.2023, Barrio’s Milano

    Live Report in Pillole: Cuero + Sempre Peggio + Dirty Job 18.10.2023, Barrio’s Milano

    Questa edizione di Live Report andrà in onda in edizione ridotta per venire incontro alle vostre facoltà mentali (cit) (EDIT: in realtà è venuto lungo uguale, nonostante non mi ricordassi più niente…)

    Chi non muore si rivede (sembrerebbe). Mi ero anche un po’ rotto il cazzo di scrivere (si era notato?), dei social e di tutte le altre cazzate, e ultimamente ho veramente poco tempo libero, ma visto che WordPress mi ha automaticamente rinnovato il sito (e ciulato i soldi) per il 2024, a sto punto rimettiamoci in pista e scriviamo due robette. D’altro canto quando qualcuno nasce influencer….

    Partiamo col recuperare un concertino di 3 (TRE!) mesi fa, una roba fresca diciamo. Data infrasettimanale per i Cuero da Bilbao, Euskadi, gruppo molto sulla cresta dell’onda ultimamente, con di supporto Dirty Job e Sempre Peggio.
    Per essere un mercoledì sera la risposta del pubblico meneghino è piuttosto buona, il Barrio’s non sarà strapieno ma molto più di quello che mi aspettavo, c’è ancora un po’ di vita a Milano e nella scena alternativa in generale… (?)
    Iniziano i Dirty Job, band di cui penso di avervi parlato fino allo sfinimento (ma non è colpa mia se ultimamente suonano un sacco!). Concerto divertente ma a parere mio non il loro migliore, qualche sbavatura qua e là, a livello di suono continuano a inspessirsi sempre di più, il che non è un male a patto che mantengano comunque quell’attitudine più street rock’n’roll che avevano agli inizi e che secondo me era un po’ quello che li differnziava da tante altre band. Vi tengo d’occhio. Rimane un momento memorabile la cover di “Col cazzo che ve la dò gratis” (AKA “Birra gratis per gli skins”) dei Billy Boy con nientemeno che il Kurma, voce originale della band piacentina, che sale sul palco per cantarla dal vivo come special guest improvvisato. Emozioni vere per noi skins del mercoledì sera. Io vedo che quando sale sul palco il Kurma tutti tirano fuori il telefono per fare il video quindi niente video da parte mia, lo trovate facilmente su Youtube se volete verificare. Finale con il solito medley con “Rivolta” che fa felici grandi e piccini.

    I secondi in scaletta sono i Sempre Peggio, che era un po’ che non vedevo dal vivo. Mi attardo un attimo a chiacchierare fuori e a passare dal bancone a ricaricare il bicchiere, e vi ricordate della summenzionata (va che paroloni belli che vi tiro fuori, questo non è un blog, è un circolo letterario) cover di “Rivolta”? Beh, i Sempre Peggio sembra fossero gli unici o quasi a non apprezzare, fanno una battuta sul fatto che “una volta” certe cover non si facevano, e beh, io storco un po’ il naso. Capisco che era una battuta, detta scherzando e (penso) senza cattiveria, ma devo confessare che io l’ho ritenuta assolutamente non necessaria, fuori contesto e mi ha ricordato certe polemiche fatte solo per il gusto di farle, e a quel punto di andare sotto il palco a sentire i Sempre Peggio mi è passata la voglia, per cui me ne sono rimasto al bancone a chiacchierare e a cazzeggiare e quindi niente foto e niente video, facciamo alla prossima. Anche perché per me i Sempre Peggio sono quel gruppo che o ti prende bene o non ti prende affatto, quindi o sei davanti al palco a cantartela oppure perdono il 90% del loro fascino. Ad ogni modo, davanti al palco c’era un po’ di gente e qualcuno mi ha detto di essersi molto divertito.

    Arriva il turno dei tanto attesi Cuero. Il trio sale sul palco e sembrano davvero carichi, con tanto di face painting e armamentario metallaro. A livello musicale ci stanno davvero dentro; ora, quello che fanno i Cuero secondo me non è oi!, è più che altro hardcore con qualche influenza metal (ma a livello musicale secondo me nemmeno così tanto), però la musica è ok, pezzi brevi veloci e cattivi. Come band funzionano, non è tutta immagine. Il problema è che ad un certo punto il batterista sembra che abbia l’argento vivo addosso, sposta le aste, poi la batteria, poi si sistema il tappetino, poi sparisce per andare a prendere qualcosa che tenga ferma la batteria (ad un certo punto trova non si sa dove un blocco di cemento, ma sembra che nemmeno quello lo soddisfi). Considerato che hanno appena suonato altri due gruppi che la batteria sia davvero così insuonabile mi sembra un tantino esagerato… All’inizio l’atteggiamento mi sembra quasi studiato, la band che si atteggia un po’ per provocare un po’ il pubblico, dei blacksters/skinheads/punx cattivoni, che si voltano di spalle a fine canzone per tenere le distanze col pubblico, sembra insomma fatto apposta, ma dopo qualche canzone capisco che non è così, è proprio il batterista che è andato. Il concerto quindi procede in maniera un po’ surreale, bassista e chitarrista sembrano anche loro un po’ spaesati, sotto il palco un paio di amici loro provano anche a scatenare un po’ di pogo, però ormai mi sembra ci sia un po’ di freddezza da parte del pubblico e quindi non si muove molto. A fine concerto il batterista sembra rendersi conto di aver esagerato, se ne sta in un angolo sconsolato. Capita, dai, e non torniamoci più su sennò mi sembra di sparare sulla croce rossa. Qualche giorno dopo mi torna in mente che io in effetti i Cuero li avevo già visti, a Parigi nel 2021 coi Revertt, e me ne ero completamente scordato. Almeno stavolta mi rimarranno in mente…

    PS: In omaggio per voi una foto dei Cuero a Parigi nel 2021 ritrovata nel mio archivio (notare che all’epoca suonavano senza facepainting)

  • Live Report: Italian Ska Raduno Vol.1

    Live Report: Italian Ska Raduno Vol.1

    Rimozione, Marciellos, Tremende, Erezione Continua, Fratelli SkaRibelli, Parma, 14.10.2023

    Trasfertina a Parma per la prima edizione dell’Italian Ska Raduno, festival nato dall’omonimo gruppo Facebook dedicato allo ska tricolore. La location rimane misteriosa fino all’ultimo, ma quando arriviamo non sembra niente male, con una sala dedicata a concerti e banchetti vari, mentre nella sala bar c’è (oltre ovviamente al bar, cosa che non si può sottolineare abbastanza) un DJ set continuo che andrà avanti sia durante i concerti sia a notte fonda fino alla chiusura.
    Purtroppo quando arriviamo scopriamo che gli Arpioni non ci saranno a causa di problemi di salute, peccato perché è sempre un piacere rivedere dal vivo la band bergamasca…

    Pronti e via e iniziano i Fratelli Skaribelli, mi perdo l’inizio del loro set perché con il DJ set sempre attivo e la porta della sala concerti chiusa a volte non è chiaro se il gruppo ha iniziato. Nonostante il nome della band che non mi piace proprio e che non faceva presagire nulla di buono, i Fratelli Skaribelli fanno un buon concerto; la band parmigiana ci offre uno ska third wave veloce (ma senza esagerare) e divertente, che ricorda un po’ i primi Matrioska o i tedeschi Skaos. Un paio di cover, una dei Toasters e una (davvero inaspettata) “King Kong” dei No Sports (applausi!), un’ottima sezione fiati e una buona tenuta del palco, insomma davvero una sorpresa positiva. E’ ancora presto, per cui il pubblico è ancora un po’ freddino e qualcuno deve ancora arrivare, però loro sono simpatici e coinvolgono comunque i presenti.
    Magari ogni tanto sono ancora un po’ acerbi (la nascita del gruppo è piuttosto recente, a quanto ne so), però sono curioso di rivederli ancora, magari coi pantaloni lunghi (odio le band che suonano coi pantaloni corti, a meno che non facciano hardcore o skatecore)!

    I secondi a salire sul palco sono gli Erezione Continua, che finalmente riesco a vedere dal vivo dopo essermeli persi un paio di volte. Avevo ascoltato qualche canzone loro prima del concerto, e onestamente credevo fossero un po’ fuori posto in un festival ska, essendo un gruppo più che altro punk rock, ma per l’occasione aggiungono il trombonista dei Fratelli Skaribelli alla loro formazione e (credo anche proprio riarrangiando alcune loro canzoni) fanno un set di ska misto punk che mi ricorda molto gruppi come Operation Ivy o Hi-Standard o, in alcuni momenti, certe cose dei Clash. Sebbene magari tutto questo non incontra i miei gusti al 100%, gli va riconosciuta una bella dose di coraggio e di voglia di sperimentare; oltre a questo sono molto scenici e il pubblico è dalla loro parte (sicuramente alcune delle giovani facce presenti sono qui per loro). Insomma, alla fine pollice alto da parte mia.

    Il terzo gruppo è quello che (oltre agli Arpioni) aspettavo di più tra tutti i presenti. Si tratta delle Tremende (o 3Mende che dir si voglia) da Bologna, band attiva da tantissimi anni e che ho sempre apprezzato, sia su disco che dal vivo. Purtroppo le loro esibizioni recenti sono davvero pochissime, direi dosate col contagocce. Il che è davvero un peccato, perché le Tremende fanno un ottimo concerto anche stasera, veramente di alto livello. Ska original con qualche accenno di 2 Tone, davvero ottimamente eseguito e scatenato, davvero difficile rimanere fermi.
    Un’oretta di concerto con classici come “La bumba magica”, “Messaggio per te”, “Che combinazione”, un paio di cover (quella di Harry Belafonte nel video sottostante e la classica “Sally Brown”) e finale con come bis la vecchissima “Un’emozione”, tratta addirittura dal primo demo e richiesta a gran voce dal pubblico. Peccato non facciano “Vorrei”, canzone che è tra le mie preferite di sempre. Grandissime Tremende, speriamo di rivederle presto!

    I The Marciellos da Genova sono invece una cover band degli Skatalites (ma non solo), e non li avevo mai visti dal vivo, sebbene li conoscessi di nome. Tecnicamente eccezionali, con un cantante dotato di una voce davvero superba e anche un discreto ballerino e intrattenitore, sono molto più di una semplice tribute band, presentando un set che presenta anche qualche classico di Ken Boothe e Lord Tanamo (tra gli altri). Sound molto molto giamaicano con un tocco “zeneize”, dimostrano in più occasioni di essere dei cultori della materia e di essere davvero preparati, andando a pescare canzoni conosciute e meno e presentando una scaletta molto convincente e varia.
    Purtroppo non seguo tutto il concerto (perché? cazzi miei ahahah) e mi perdo molto della seconda parte, però altra band azzeccata nel contesto e molto interessante. Avevano anche il loro cd, purtroppo avevano sbaraccato il banchetto prima che mi decidessi ad acquistarlo, mannaggia.

    A chiudere la serata ci pensano i Rimozione (ex Rimozione Koatta), band attiva dal 1994 proveniente da Torino e dintorni. Il loro è uno ska third wave cantato in italiano che a volte diventa skacore, che ricorda molto i quasi conterranei Persiana Jones.
    Si vede che è una band che ha calcato tanti palcoscenici e che è abituata a stare sul palco, anzi, a viverci, quasi, e anche dal punto di vista di come han suonato assolutamente niente da dire, però devo dire la verità che sono il gruppo che ho apprezzato meno del festival. Forse il loro set è stato un po’ troppo lungo, o forse sarà perché non sono mai stato troppo un loro fan o anche perché il loro genere non è tra i miei preferiti, ma ad un certo punto sono andato a farmi un giro al DJ set (dove comunque stazionava sempre un certo numero di aficionados impegnati costantemente a ballare). Apprezzabile comunque il tentativo di unire un’attitudine più fun con tematiche più serie e l’energia che hanno infuso nella loro esibizione.

    Si continua a ballare e bere anche dopo la fine del concerto, con un DJ set che verso la fine si spinge anche in territori meno “original” e più puramente danzerecci, cosa che ho apprezzato molto per due motivi, ovvero: 1) in un DJ set così lungo troppe gemme viniliche “oscure” tendono (parlo per me eh) a stancare dopo un po’ (soprattutto dopo che l’alcool prende il sopravvento e si tende ad essere meno “ricercati”) 2) diversi dei presenti mi sembravano un po’ più “sui generis” che appassionati di ska original, e la selezione rischiava di allontanarli un po’.
    Per il resto il raduno è uscito direi piuttosto bene, il posto si è dimostrato adatto, il numero di presenze non era da folle oceaniche ma comunque in numero adeguato, con anche qualche faccia nuova e diverse facce giovani, il che è un’ottima cosa, no? Le band si sono dimostrate gradevoli ed in generale il clima per tutta la serata era di festa come dovrebbe essere. Forse DJ set e concerti insieme a volte erano un po’ troppo (in certi momenti avere più presenze sotto il palco sarebbe stato meglio piuttosto che dividere il pubblico), ma il clima è stato clemente e per fare una pausa dalla musica e fare due chiacchiere si poteva comunque uscire all’aperto.
    Alla prossima edizione!

  • Live report: Le bal des vauriens (giorno 2)

    Live report: Le bal des vauriens (giorno 2)

    Squelette, Survet Skins, Beton Armè, Infa Riot, Lion’s Law, 8°6 Crew, Oi Boys, Le Kilowatt, Vitry-sur-Seine, 23.09.2023

    Quando ritorniamo sul luogo del delitto, al secondo giorno di festival, ci accorgiamo subito che le presenze sono decisamente aumentate rispetto al venerdì. Già all’apertura delle porte, infatti, ci sono più persone di quante ce ne fossero alla fine della serata di ieri.
    C’è grande attesa per gli Squelette, che aprono sul palco piccolo; ed infatti, ancora prima che inizino a suonare le prime note, lo spazio interno dell’Oasi è strapieno, non si riesce ad entrare! Tento di infilarmi dentro ma onestamente, essendo ancora presto, essendo io completamente sobrio e non avendo molto voglia di assistere al concerto dal fondo della sala, desisto quasi subito. D’altro canto, quanto sento da fuori non sembra troppo nelle mie corde: classico Oi mid-tempo molto anni ’80 con vocione ultra growl. Non conosco gli Squelette ma in diversi mi hanno parlato bene del loro ultimo disco, per cui vedrò di recuperarlo per capire di più su di loro.

    Il primo gruppo sul palco esterno sono invece i Survet Skins, combo parigino con membri di 8°6 Crew, Komintern Sect e Lion’s Law, attivo dagli anni ‘90. Io (non so perché) ero convinto che fossero un gruppo quasi Oi-core, ma dopo 20 secondi mi ricredo. Il loro è un punk-Oi melodico è molto street rock n roll, e mi piace un casino! Dal vivo inoltre sono davvero coinvolgenti, funziona benissimo la formazione con due cantanti, quasi teatrale, con uno dei due (che ricorda una sorta di Babbo Natale skinhead) più gioviale e pronto a scherzare e relazionarsi col pubblico, mentre l’altro (che poi è il cantante degli 8•6 Crew) più riservato e distaccato. Le canzoni scivolano bene una dietro l’altra, addirittura una cover degli Eskorbuto (“Historia triste”), una o due cover degli 8°6 Crew e atmosfera piacevole alla “Oi! Fatti una risata”. Davvero un’ottima scoperta, grandi!

    Si ritorna all’interno per quello che era probabilmente il gruppo più atteso del festival, quantomeno dalla compagine italiana che me ne aveva parlato a ripetizione, decantandomi le lodi di questi canadesi (che io non conoscevo… ok, sto facendo brutta figura oggi, in pratica per ora non conosco nessuno!). I Beton Armé salgono sul palco e vengono immediatamente sommersi dal pubblico che li circonda e fa partire un pogo scatenato che andrà avanti dall’inizio alla fine, con cori continui, stage diving praticamente ininterrotti e un’atmosfera davvero incandescente. Non c’è quasi bisogno che i ragazzi del Quebec facciano niente di particolare: il 90% del fascino della loro esibizione è proprio questo muro umano che scatenano. Per il resto, non sono male, Oi-hardcore davvero potente, sanno stare sul palco e sono bravi a suonare. Lodevole la cover dei L’Infanterie Sauvage. Non so perché, però, non mi si accende del tutto la scintilla. Insomma, gli riconosco tante doti, e sicuramente è stato un ottimo concerto, ma non capisco appieno tutto questo entusiasmo…

    Si torna sul palco esterno per una band che invece non si può certo definire nuova: gli Infa Riot. La band inglese si presenta sul palco con una tripletta bomba (“Emergency”, “You ain’t nothing yet”, “Still out of order”) e sembra decisamente in forma. Mr. Lee se la ride col pubblico e scherza (una sagoma!), il resto della band sa decisamente il fatto suo e il loro è un ottimo set, potente e con tutti i classici che ognuno si aspetterebbe. Gran finale con niente di meno che “In for a riot” (richiesta più e più volte dal pubblico) e una gran versione di “Kids of the 80’s”. Li ho trovati davvero in forma, anche più di altre volte. Poiché verranno a breve in Italia (Roma e Cagliari se non vado errato), il mio consiglio è di non perderveli assolutamente.
    Una piccola riflessione: all’inizio del concerto degli Infa Riot il pubblico mi è sembrato un po’ freddino e un po’ più restio a lasciarsi andare. Non so se fosse perché il pubblico francese sia un po’ “nazionalista” (non in senso politico, intendo in senso puramente musicale)- a differenza di noi italiani che siamo spesso anche troppo “esterofili”- visto che anche i Samples il giorno prima avevano un po’ faticato a coinvolgere il pubblico, o magari perché il suono più “vecchio” di certe band (vedi anche i Wunderbach) sia in qualche modo meno attuale per le nuove generazioni. E’ passato un po’ di tempo da quando da ragazzino il mio obiettivo era mettere le mani sulle ristampe e i cd raccolta dei gruppi storici, e magari le nuove generazioni sono cresciute più con i dischi di gruppi di ondate successive rispetto che con i classici del genere. Non che ci veda nulla di male, sia chiaro, anzi, forse un evoluzione di questo tipo è segno di vitalità e di rinnovamento (sono pur sempre passati 45 anni dal ’77, un’enormità se ci si pensa), però a me, cresciuto con un certo tipo di suono e con certi “miti” (tra virgolette, perché parlare di miti nel punk/oi è argomento spinoso), fa un po’ strano. Fine della digressione (anche perché poteva essere anche solo un’impressione che ho colto solo io).

    Non si rientra all’interno perché ora tocca ai Lion’s Law, ancora sul palco grande, ed è il delirio. Tutti (ma proprio tutti) i presenti si scatenano e cantano tutti i classici di questa gloriosa oi! band. Repertorio completo, da “Lafayette” a “The reaper”, da “Way of life” a “Knock em out” fino alla conclusiva “For my clan”. I Lion’s Law sono una band davvero straordinaria dal vivo, e l’ambiente di stasera è quello giusto per gustarseli appieno. Hanno grinta, carica, stile, e sanno davvero suonare, cazzo! Wattie, il cantante, si gode il concerto dopo quello del giorno precedente con i Maraboots, e tutta la band non sbaglia un colpo. Tanta gente sale sul palco a cantare o a fare stage diving, e l’atmosfera è davvero fantastica.
    I Lion’s Law sono la migliore band francese in attività, e non lo dico solo perché sono una band della Madonna o perché i loro pezzi sono fighi o perché sanno suonare e tenere il palco, ma perché sono una band che ha ridato vita e lustro alla scena oi! francese, perché hanno dimostrato di saper unire più generazioni di skins e punks, senza vendersi e senza dividere o disunire, a differenza di altre band e realtà che sono state in grado solo di causare scazzi o curare solo il proprio orticello. Sotto il loro palco ho visto una vera unione e tanti ragazzi e ragazze veri e appassionati. Io credo che il tempo abbia dato ragione ai Lion’s Law (e a band come la loro, sia chiaro). Massimo rispetto.

    Dopo un concerto al cardiopalma come quello dei Lion’s Law sarebbe davvero difficile per qualsiasi band salire sul palco… ma gli 8°6 Crew non sono una band qualsiasi! Non li avevo mai visti dal vivo anche se li ho sempre apprezzati tantissimo su disco, e iniziano con quella “You come” che me li fece conoscere tanti tanti anni fa sul loro disco “Bad bad reggae” (anche se credo di averla sentita per la prima volta su qualche compilation)… iniziamo benissimo insomma! I ragazzi ci danno dentro con il loro ska tra accelerate 2 tone e momenti reggae, con occasionali puntate nel punk/oi (d’altro canto loro erano nati proprio come gruppo oi!). Un po’ di canzoni tratte dallo splendido “Working class reggae”, un po’ di classici come la bellissima “Vieille France” (penso la mia canzone preferita del loro repertorio)… ma perché mai non fanno uscire un nuovo disco da tempo immemore? Maledizione!
    La gente è contenta, un po’ di ska ci voleva proprio, anche se i francesi a volte più che ballare pogano… argh! Un ottimo concerto, loro sono bravissimi tecnicamente e sono davvero un gruppo che dà spettacolo sul palco… sono davvero soddisfatto di essere finalmente riuscito a vederli dal vivo!

    La serata non sarebbe ancora finita, ci sono gli Oi Boys (che, a differenza di quanto possiate immaginare, non fanno oi! ma post punk… davvero non capisco perché abbiano scelto questo nome, se sia ironico o cosa) che concludono il festival nel palco piccolo interno, però siamo piuttosto provati dal weekend (siamo dei vecchiacci, e qualcuno è più vecchio degli altri) e ce ne andiamo proprio all’inizio del loro concerto (che, mi dicono, non è stato male, peraltro lo trovate qui).

    Che dire? Un ottimo festival, ottimamente organizzato e ottimamente partecipato, senza l’ombra di uno scazzo e con una line up davvero eccezionale, selezionata con cura, varia e distribuita benissimo tra i due giorni. Tutte le band sono state grandi, il pubblico ci ha dato dentro, i suoni sono sempre stati perfetti, insomma, davvero complimenti per aver fatto andare tutto così liscio, non succede spesso.
    Se devo scegliere le migliori band, credo che Maraboots, Lion’s Law, Komintern Sect e 8° 6 Crew siano state una spanna sopra a tutti, ma ho apprezzato davvero tanto anche Survet Skins, Schedule 1, Infa Riot e Beton Armé, ma, ripeto, tutti i gruppi sono stati davvero validi. All’anno prossimo, si spera!

  • Live report: Le bal des vauriens (giorno 1)

    Live report: Le bal des vauriens (giorno 1)

    Cran, Wunderbach, Nö Class, Maraboots, The Samples, Komintern Sect, Schedule 1, Le Kilowatt, Vitry-Sur-Seine, 22.09.2023

    Già qualche anno fa avevo i biglietti per l’edizione 2020 di questo festival, dopodichè una robina chiamata Covid ha deciso di far saltare tutto; quando è uscita la notizia e la line-up di questo festival ho deciso di correre il rischio di far scoppiare un’altra epidemia e di prenotare nuovamente aerei e biglietti. Scopro poi dopo che il festival si tiene al Kilowatt, posto che oltre ad essere in culo al mondo è anche all’aperto, e tutto questo negli unici giorni freddi di un settembre per il resto insolitamente caldissimo… che culo! Arriviamo la sera prima a Parigi ma non abbastanza presto per il warm up (che sarebbe pure stato raggiungibile), e il giorno dopo ci facciamo un bel viaggio con combo metro/pullman per arrivare al Kilowatt, che è immerso in uno scenario post industriale (credo fosse un ex centrale elettrica o qualcosa del genere, da cui ha preso il nome) ma che come posto non è male (esclusi i cessi all’aperto che sono una sofferenza). Non troppo economiche le birre, ma almeno sono buone.

    Tocca ai padroni di casa Cran il compito di dare il via al festival. Suonano nel palco interno, “l’oasi”, ottimo posto, stretto il giusto, decisamente più raccolto e intimo rispetto al palco esterno che è davvero gigante. Crea anche un’ottima atmosfera visto che all’interno non passa praticamente neanche un filo di luce naturale…
    Avevo già visto la band in azione di supporto ai Poison Ruin qualche mese fa, e per definirli credo si possa usare una sola parola: energici. Sarà il suono, sarà la presenza scenica, ma quando suonano l’aria si fa elettrica e la band riesce a catalizzare su di sè l’attenzione di tutto il pubblico in pochi minuti. Davvero un’ottima band, che mi conferma l’ottima impressione avuta anche sul loro disco. Precisi a livello tecnico, veloci e cattivi ma mantenendo sempre un occhio attento alla melodia. Il pubblico li apprezza molto, cosa non scontata considerato che erano il primo gruppo in assoluto e in queste occasioni a volte rompere il ghiaccio non è una cosa facile. Eppure c’è un bel pogo e in molti cantano insieme al gruppo (io no, molte canzoni me le ricordo ma cantare in francese è troppo complicato!), decisamente un buon segno. Credo che nei prossimi anni sentiremo spesso parlare dei Cran!

    A debuttare sul palco esterno sono invece i Wunderbach, storica band francese dei primi anni ’80, poi riformatasi a metà degli anni 2000 e attiva sporadicamente da allora. Non sono mai stato un loro appassionatissimo fan ma conoscevo il loro punk rock con venature streetpunk; devo dire che all’inizio del concerto sono partiti un po’ in sordina, anche il pubblico ci ha messo un po’ a farsi conquistare, ma hanno saputo riprendersi alla grande dopo qualche canzone. Due voci, maschile e femminile, tanti cori e punk come si faceva una volta. Simpatici e pronti a scherzare col pubblico, mano a mano che andavano avanti li apprezzavo sempre di più e alla fine devo dire che hanno fatto un buon concerto, con tanto di skingirls e punk girls sul palco a cantare insieme a loro. Credo anche che abbiano sforato un po’ i tempi perché hanno continuato imperterriti a fare bis e hanno finito il loro set che i No Class erano praticamente già sul palco.

    Prendo posizione quindi all’interno per assistere al concerto dei No Class, anzi, scusate, Nö Class (chissà come si fa la ö con la tastiera, io vado di copia e incolla). Gli australiani sono molto chiacchierati, mi sembra che siano uno dei gruppi più attesi, negli ultimi anni hanno girato un po’ per tutta l’Europa più e più volte, e infatti questa è l’ultima data del loro tour europeo. Il pubblico si fa trovare pronto e numeroso (ormai la gente è tutta arrivata, almeno quella del venerdì), infatti fatico un po’ a ritagliarmi uno spazio vicino al palco.
    Il loro è un punk rock n roll equamente diviso tra Motorhead, Jerry Lee Lewis, Boys e Angelic Upstarts, il tutto rivisto in un’ottica australiana alla Rose Tattoo. Belli marci (molto più che su disco), bei lavori di chitarra e un attitudine molto 77ina, però dopo un po’ di canzoni perdo un pochino di interesse nei loro confronti, mi sembra che su disco siano un po’ più vari. La gente comunque è presa bene, si balla, si poga e si fanno un po’ di stage diving assortiti, quindi al pubblico piacciono. Il cantante potrebbe fare il redneck australiano in un remake di quei folli horror stile Wolf Creek, sembra marcio fino al midollo, in una punk band però marcezza e bruttezza sono una marcia in più, ed infatti come frontman funziona tantissimo.

    Per me, invece, il gruppo più atteso (o quasi) del weekend sono invece i Maraboots, uno dei migliori gruppi oi! di sempre (e questo è un fatto, non un’opinione) che, per sfighe varie, all’epoca non riuscii mai a vedere dal vivo. Due concerti per loro quest’anno, qui a Parigi e al Beach Beer Chaos (festival fighissimo che però va sold out in pochissimo e che, svolgendosi a Barcellona- anzi a Badalona, dicono che ci tengono a specificarlo- a ferragosto, è costosissimo), due date iper selezionate insomma. Dopo che il Covid mi ha privato dell’edizione 2020 de Le Bal Des Vauriens sono più che intenzionato a non perdermi nemmeno un secondo del loro show.
    Che dire? E’ valsa assolutamente la pena di aspettare 3 anni per potermeli vedere finalmente dal vivo. Concerto S-T-R-E-P-I-T-O-S-O, hanno fatto tutti i miei pezzi preferiti (persino “Parmentier”, pensate un po’! E tra un po’ viene giù il locale a forza di gente che urla “skin/heads/Parmentier!”), hanno suonato da dio, la gente era presa bene, tutti a cantare in coro (io facevo finta perché, ripeto, il mio francese fa cagare), invasioni di palco, stage diving a bomba, Wattie carichissimo, tutta la band precisa e potente. Insomma, io non so cosa dirvi di sto concerto se non che è stato eccezionale e che se i Maraboots suoneranno ancora io sarò in prima fila, ovunque siano.

    E’ arrivato il momento dei Samples, band inglese di puro stampo punk82 rispuntata fuori del tutto a sorpresa nel 2019 in concomitanza col Covid (e infatti per tornare sul palco dovettero aspettare il 2022). Purtroppo orfani del cantante Sean “Badger” Taylor, scomparso nel 2021 (senza quindi essere riuscito a tornare a calcare i palchi… che sfiga!), i Samples si presentano in una formazione a 3 con i due membri storici Dave Evans e Pascal Smith che si alternano alla voce, e con un giovane punk di nome Jake alla batteria. I Samples non si perdono in fronzoli, attaccano con i loro cavalli di battaglia dei vecchi singoli e con qualcosina di nuovo. Punk 82 secco, duro e deciso, niente di nuovo sotto il sole, il suono è un po’ scarno ma personalmente a me piace così. Probabilmente però suonare subito dopo un concerto come quello dei Maraboots non li ha aiutati, infatti il pubblico è un po’ freddino e l’oasi non è piena come in altri momenti. Non seguo tutto il concerto perché esco un attimo per andare in bagno e per riprendere qualcosa da bere e vengo rapito da compagni di viaggio e altra gente incontrata sul momento, quando riesco a rientrare hanno appena finito, peccato perché a me non stavano dispiacendo affatto.

    Il pubblico freme per i Komintern Sect, idoli del pubblico parigino e band storica della scena francese. E’ la terza o quarta volta che li vedo e, sarà il pubblico che è scatenato, sarà l’acustica davvero ottima, sarà che sono particolarmente in forma, insomma è il loro miglior concerto e un concerto davvero incredibile. Passano dai loro classici a qualche canzone tratta dal loro ultimo (ottimo) disco “Des jours plus durs que d’autres”, e suonano con una potenza che lascia senza parole. Io sono di parte perché comunque ritengo i Komintern Sect una band fantastica, ma penso che con un concerto come quello che hanno fatto sarebbero piaciuti anche a quelli che non li apprezzano (ma esistono davvero, poi?). “Tous ensemble”, “Unis par le vin”, “Les Années D’Acier”, “D’un meme voix”, insomma, tutti i loro classici. Chiusura finale con la loro classica cover di “Pour la gloire” dei Camera Silens, e con classica invasione di palco in grande stile (per fortuna il palco ha retto!). Io mi sono divertito e infatti vi ho fatto poche foto perché ho pensato a godermi il momento, non a voi lettori… dovevate venire! Davvero, un gran concerto, sono indeciso se sia stato il concerto migliore della serata o se siano stati meglio i Maraboots, è un testa a testa.

    Inaspettatamente però ecco che i canadesi Schedule 1 piazzano un concerto che è una vera bomba! Dico inaspettatamente perché ok, nei giorni precedenti al concerto avevo sentito qualcosa di loro (giusto un paio di canzoni, lo ammetto) che in effetti mi erano piaciute, ma non mi aspettavo che dal vivo rendessero così tanto! Ed invece il quartetto canadese sa suonare e sa intrattenere, con un cantante davvero scatenato che non sta fermo un attimo per tutto il concerto. Post-punk cantato in inglese, davvero ritmato e coinvolgente, ottima sezione ritmica, qualche reminescenza oi e hardcore, pezzi vari tra di loro e tutti validi. Alla chitarra c’è il tipo dei Bishops Green. Il mio consiglio è: recuperate il loro disco! Loro sono nati da poco, tant’è che quando qualcuno a fine concerto gli chiede un’altra canzone, sono costretti a rispondere mestamente che non hanno altre canzoni, le hanno già suonate tutte!

    Per tirare le somme della serata, oltre a Maraboots e Komintern Sect, che sono fuori classifica e hanno fatto due tra i concerti migliori mai visti in vita mia, vengono subito dietro gli Schedule 1 che sono stati una sorpresa (l’ho già detto venti volte, lo so), Cran sempre una garanzia, comunque ampiamente sopra la sufficienza Samples, Wunderbach e No Class… per ora questo festival non ha sbagliato mezza band!!!
    Ritorno a Parigi città un po’ sfigato causa tassista che scompare nel nulla lasciandoci ad aspettarlo al freddo finché non riusciamo a trovarne un altro (…), ma siamo comunque carichi per la seconda giornata!

  • Live Report: Bologna City Rockers Fest Settembre 2023

    Live Report: Bologna City Rockers Fest Settembre 2023

    Syndrome 81, Youngang, Crim, Plakkaggio, Diario di Bordo, Morgana, Sacro Cuore, Sottotetto Soundclub, Bologna, 16.09.2023

    Per varie traversie e sfighe assortite (causate in buona parte dal sottoscritto) la partenza per questo appuntamento con la nuova edizione del Festival affidato ai BCR è un calvario, e quando (finalmente) riusciamo ad arrivare al Sottotetto hanno già terminato di suonare i Sacro Cuore (a cui avrei dato volentieri una seconda chance dopo il loro live a Milano) e anche i Morgana di Firenze, di cui avevo sentito dire ottime cose e avrei visto molto volentieri (colmo della sfiga: quando cerco di accaparrarmi il loro LP, scopro che hanno finito anche quello…!).


    Sul palco sono appena saliti i Diario di Bordo, agguerritissimi e carichissimi e con grinta da vendere. Li ho apprezzati anche su disco (“Al di là del buio” è un album molto molto interessante) ma dal vivo secondo me rendono di più, e il pubblico del sottotetto sembra confermare questa tesi, perché i presenti cantano per buona parte del loro set. Tutto questo nonostante, tocca dirlo, l’acustica del Sottotetto a questo giro sia piuttosto scarsa, per usare un eufemismo. La conformazione del Sottotetto non è facile da gestire (posto grande con un soffitto molto alto e pure un controsoffitto), ma in altre occasioni si sentiva bene; questa sera ci saranno alti e bassi ma prevarranno notevolmente i bassi. Peccato, anche se in fondo stiamo parlando di punk, per cui non stiamo troppo a sottilizzare su…
    Comunque un ottimo inizio per il sottoscritto, che ci mette poco a entrare nel mood giusto della serata…

    Dopo di loro tocca ai Plakkaggio, band che ho visto tantissime volte anni fa, ma che è un po’ di tempo che non vedo live, e che si presenta con una formazione con ben due bassi, visto che a Chris si affianca Francesco, che per un periodo lo aveva sostituito al 4 corde.
    L’ultima fase della carriera (ok, carriera mi fa cagare, ma non mi viene un altro termine) dei Plakkaggio ammetto di non averla seguita molto; sono più legato ai primi lavori della band, per dire, non ho mai sentito “Verso la vetta” (non so il perché, non l’ho fatto apposta, giuro!)! Per cui è la prima volta che sento una canzone che vedo essere tra i favoriti del pubblico quale “Birra in lattina”… per fortuna alcuni classici come “Leggenda”, “Granito”, “BPD” o “Cernunnos” sono sempre presenti in scaletta. Per una canzone (mannaggia a me, non ricordo più quale) viene anche invitato a cantare sul palco una vecchia conoscenza della scena Oi!, Kranio. Gran finale con “I nostri anni” cantata a gran voce dal pubblico, pubblico che per tutta la durata del concerto non ha mai smesso di pogare, cantare e lanciarsi in continui stage diving, confermando come la band romana sia tra le più amate e seguite della scena. Plakkaggio in ottima forma quindi!

    Tocca ora ai primi ospiti stranieri della serata, i Crim da Tarragona, Spagna o Catalunya a vostra discrezione. Ricordo che li avevo visto tanti anni fa (sono andato a controllare, era il 2017, 6 anni fa) e ricordo che onestamente non mi avevano colpito molto, anzi. Questa sera però li trovo più in forma, la voce del cantante sembra migliorata (certe volte anche su disco è davvero troppo roca) come in generale il resto della band, il loro punk rock dalle svariate influenze magari non mi lascia un segno indelebile ma devo dire che non mi lascia nemmeno indifferente. 45 minuti di buon livello, e loro sembrano simpatici.

    A questo punto sarebbe l’ora degli Youngang, su cui devo dire che non sarò imparziale in quanto gli Youngang sono uno di quei gruppi che ha segnato la mia adolescenza, sono stati tra i primi gruppi oi! che ho ascoltato e che ho visto dal vivo e insomma, al cuore non si comanda, tanto che aspetto con più impazienza loro che i Syndrome 81 (e i Syndrome 81 mi piacciono un sacco!). Purtroppo seguo delle cattive compagnie, che mi portano a bere al baretto esterno del Sottotetto in concomitanza con l’inizio del concerto. Appena sento le prime note mi fiondo dentro e conquisto (a fatica) le prime posizioni, ma intanto mi sono perso “Youngang birra e guai”, “Il santo” e “Lottano tra loro”, e questo non me lo perdonerò mai. Ragazzi state lontani dall’alcol, mi sono perso la corsa della vita per quella robaccia (questa è una citazione buttata lì per far vedere che ne so a pacchi, bravo a chi l’ha colta).
    Sgombriamo subito il campo da una delle polemiche pre concerto (almeno una, dai), ovvero chi ha storto il naso per l’assenza di Eugenio (Bull Brigade, per chi avesse vissuto gli ultimi anni sulla Luna)alla voce: gli Youngang esistevano prima di Eugenio, anzi alcune delle cose migliori le hanno fatte con il primo cantante, quindi non mi pare il caso di strapparsi i capelli (che già ce ne rimangono pochi). Anzi, a dire il vero, l’unica pecca del concerto è che potevano essere riprese alcune delle vecchie canzoni, mentre invece la scaletta si concentra molto sul MCD “Canzoni ribelli” (su cui oh, comunque, niente da dire eh) che forse dal vivo fa più effetto “cori e canti tutti assieme”.
    Per il resto, gli Youngang non sono mai stati dei virtuosi, però stavolta li ho trovati anche molto cresciuti dal punto di vista tecnico; per il resto concertone, tutti a cantare in coro ecc ecc. Addirittura hanno un pezzo nuovo! Chi se lo sarebbe mai aspettato! E non è nemmeno male. Per quanto riguarda il nuovo cantante, promosso, anche se (paradossalmente) nella gestualità ricorda un po’ proprio Eugenio (o almeno, a me è parso così). Tre quarti d’ora di fuoco, nessun bis però, maledizione (anche perché all’ultimo secondo gli è mancato Toffee, il secondo chitarrista, quindi formazione un po’ improvvisata).

    Siamo arrivati quindi all’ultimo gruppo della serata, e si finisce col botto! Prima volta in Italia dei Syndrome 81 da Brest, che sono un po’ sulla bocca di tutti dopo il loro ultimo splendido disco. Rifanno quasi integralmente “Prisons imaginaires” e molte canzoni da “Béton nostalgie” (disco che rivalutato molto nell’ultimo periodo), pubblico preso benissimo, pogo micidiale, tutti sono felici. Dal vivo mantengono qualche suggestione cold wave ma sono decisamente più punk-hardcore (forse temo che qualcosa ce la siamo persa con l’acustica), cosa che li rende magari un pochino meno particolari ma gli dà una carica non comune. Dal vivo sono lanciatissimi, e sanno benissimo come ci si muove sul palco. Ottimo gruppo, davvero c’è poco da aggiungere se non che se ve li siete persi dovete assolutamente recuperare!
    Finale di serata come al solito affidato a DJ che continuano a far ballare i presenti, ad una certa la stanchezza prende il sopravvento, ancora complimenti ai Bologna City Rockers, capaci ogni volta di organizzare tra i pochi festival italiani di respiro europeo.

  • Doppia Recensione: Steno e Gli Avvoltoi + Dalton

    Doppia Recensione: Steno e Gli Avvoltoi + Dalton

    Incredibile ma vero, un articolo che non è un live report! Ora nevica!

    Gli Avvoltoi & Steno “Un uomo rispettabile/ Scenderemo nelle strade”, Ostia Records, 7″, 2023

    I simboli di Bologna? Le due torri, i tortellini, i portici, gli studenti fuorisede de sinistra, Piazza Maggiore, la curva Andrea Costa… e i Nabat e Steno. Ma un marchio indelebile della controcultura bolognese sono anche Gli Avvoltoi, band beat 60s attiva dall’85/86 e capitanata dall’inossidabile Moreno Spirogi, autrice di ottimi album cult come il debutto “Il nostro è solo un mondo beat” (recuperatelo) e di innumerevoli singoli.
    Inoltre (e qui mi dò delle arie da uomo di cultura), Gli Avvoltoi vengono citati spesso nei libri dello scrittore bolognese Gianluca Morozzi, mio pallino personale (autore anche di un bel libro sugli Skiantos, ma vi invito a recuperare anche qualcuno dei suoi libri di fiction, e qui chiudo la parentesi intellettuale, che andiamo fuori rotta).
    Tutto questo preambolo per dire che se non conoscete Gli Avvoltoi siete i soliti poseuroni panc e schin che pensano solo alla birra di bassa qualità e alle calze a rete di qualche panchettina o ai tigers di qualche panchettone (cito prima il pubblico maschile non per sessismo ma perchè guardo le statistiche di chi frequenta il benemerito canale YouTube della casa, e se tanto mi dà tanto qui è la solita sagra della salsiccia [io qui non uso cookies o altro, fottesega di chi legge o non legge, e le statistiche su YouTube le leggo solo quando mi annoio, ndR]).
    Ma dai che si scherza, lo faccio per provocarvi, qui si accettano anche i testoni come voi, e persino i fan dei Blink 182!
    Vabbè, andiamo al sodo: 7″ prodotto dalla benemerita Ostia Records, due canzoni già viste e già sentite in più salse: “Un uomo rispettabile” è la cover dei Kinks (“A well respected man”, potevate anche arrivarci da soli) che i beat bolognesi reinterpretano (e dico “reinterpretano” e non semplicemente “coverizzano”, visto che non si limitano a fare il compitino ma testo e in parte arrangiamento sono diversi e frutto di un lavoro decisamente “rispettabile” [gomitino gomitino]) da diversi anni, sia dal vivo sia in uno dei loro primi singoli. La versione col vocione di Steno convince e stravince, è paradossalmente modernizzata e al tempo stesso perfettamente retrò (ottimo il lavoro di Pecos in studio; e questa non è una sorpresa). Ma sa stupire (e quanto!) anche il lato B, in cui “Scenderemo nelle strade” (dove la parte di Steno è limitata a qualche coro, e canta invece il buon Moreno) riesce a rimanere in miracoloso equilibrio con una canzone che da inno stradaiolo schineddpancardecore goduriosamente populista e popolare diventa canzone vera e propria, interpretata col giusto mix di schiettezza, umorismo (oi! fatti una risata) e rispetto del materiale originale.

    Ho usato insomma un sacco di paroloni nel tentativo di rintontire quelle vostre zucche vuote e spingervi a comprare un disco suonato cantato e composto da vecchiacci che però sanno essere più freschi e sul pezzo di tanti giovinastri senz’arte né parte. Lunga vita ai beat boomer! Edizione limitata a 200 copie se questo eccita il vostro fetish da collezionisti. Troviamo un difetto? Dai troviamolo: avrei fatto il vinile col buco grande anni ’60 (che poi non è manco vero, io quei dischi li odio perché poi quando voglio ascoltarli non trovo mai l’adattatore).

    Dalton “Sappi/ Ti conviene” Hellnation, 7″ 2023

    Altro giro altro beat, anzi altro Beat, anzi ancora altro BeatPunk. Devo dire che quando il lato A dei Dalton ha iniziato a girare ho guardato un po’ stranito il mio giradischi (che sonnecchiava da un paio di settimane) chiedendogli/mi se avevo messo il disco giusto.
    Eh già eh già, i Dalton non hanno mai smesso di rinnovarsi ed evolversi, che detta così sembra una brutta roba da gruppo prog rock lanciato verso concept album con canzoni da 7 minuti e mezzo, ma in realtà,

    molto più semplicemente, questa “evoluzione” ci ha regalato 3 album diversi tra loro eppure tutti molto buoni come “Come stai”, “Deimalati” e “Papillon”.
    Questo nuovo singolo, uscito un po’ a sorpresa a settembre, ci presenta due nuove canzoni del combo romano di Boot Boy che dopo aver esplorato punk, pub rock, rock and roll e cantautorato italiano questa volta spinge sul pedale del Beat Punk molto più di prima. “Sappi” è un pezzo pur sempre alla Dalton, fatto di rime baciate che a volte sembrano ingenue pur non essendolo (scuola Battisti), che scorre leggero (con una voce più delicata del solito) e che pur centrando il punto questa volta colpisce forse un po’ meno che in passato. Cioè, va tutto bene, ma visto come i romani ci hanno viziato in passato, è difficile accontentarsi. Il lato B, “Senza eroi” invece è più classicamente Dalton, pezzo un po’ più sporco che richiama alla mente (o sarà un impressione data dal titolo?) i loro concittadini Klaxon e qualcosa di punk 77 e pub rock. Lato B un cazzo. Niente male.
    Confezione scarna (niente foglietto interno), adatta ad una band che si preoccupa più del contenuto che della forma con testi in bianco e nero ma con i credits in un rosso che mi causa ogni volta la perdita di svariate diottrie.
    In poche parole, coraggioso e bello, ma per placare la fame ci vuole un album intero.