Live Report: Brembeat ‘n’ roll XII

Courettes, Manges, Midnight Kings, Brembeat’n’roll XII, Libera La Festa, Osio Sopra, 29.07.2023

Ultimamente su queste pagine ci sono solo live report, vero: la cosa è magari un po’ pallosa, però vi allietiamo (?) le giornate anche in piena settimana di ferragosto quando tutti gli altri siti sono in ferie, conterà pur qualcosa? Diciamo che in questo momento i neuroni fanno solo il minimo indispensabile, vedremo per la nuova stagione di inventarci qualcosa di più frizzantino dai.

Perso il Punk Rock Raduno, decido di fare un salto al Brembeat, al quale manco da milioni e milioni di anni; la line up sulla carta sembra interessante, anche perché non vedo i Manges live da troppo tempo, i Midnight Kings sono sempre una garanzia e tutti parlano dei (delle?) Courettes come di una band bomba che non si può perdere.
Gli orari del concerto prevedono un inizio molto presto e sembrano credibili, per cui ci si avvia in direzione Osio Sopra, nella bergamasca (dove qualche giorno prima avevano suonato anche i Bull Brigade) per gustarci qualche manicaretto pre concerto e non ridurci ad uno straccio sbevazzando a stomaco vuoto. L’area feste dove si svolge il concerto è quella classica da festa di paese, con qualche stand di cibarie, qualche stand generalista (niente banchetti di dischi, per la gioia del mio portafogli) e un pubblico che comprende un po’ di tutto, molte famiglie con bambini, qualche anziano, qualche ragazzino alternativo che sembra al primo concerto e via dicendo…

Nel mentre che siamo lì ci capita anche di sentire il live in acustico di Andy Kaam dei Kaams; non lo recensisco perché ne ho un ricordo molto vago (già durante l’esibizione non avevo fatto molta attenzione, impegnato a mangiare un deludentissimo panino col lampredotto che non riesce nemmeno a saziarmi… un lampredotto che non sazia dovrebbe essere illegale). In generale mi rendo conto che sono sempre meno attirato dai live in acustico; credo che suonare in acustico sia più impegnativo del classico concerto con la band perché non puoi buttarla in vacca alzando semplicemente gli ampli o buttarla sul ballabile. Ci sei solo tu e il pubblico, bisogna essere bravi a creare un rapporto personale con chi si ha davanti (cosa ancora più difficile in un contesto come quello di stasera, in cui non c’è il solito pubblico di riferimento), bisogna portare delle canzoni che reggano anche in acustico e che non siano semplici canzoni elettrificate senza elettricità, e bisogna anche avere qualcosa da dire, perché il testo ha la sua importanza. Nel 99% dei casi invece chi suona acustico in ambito punk o è un emulo (tristemente fuori tempo massimo) di Johnny Cash, o fa le stesse canzoni che fa con la band solo con qualche strumento in meno (e a quel punto che senso ha, mi vedo la band al completo e sento le canzoni come erano state concepite originariamente) o ancora (e forse è il caso peggiore) si crede un incompreso che fa punk perché è costretto, ma che vuole far vedere che è tanto intelligente e tanto artista completo, non solo punk (e in questi casi è esattamente il contrario: fai punk proprio perché non hai talento e col punk le tue mancanze si vedono meno, per cui torna ai tuoi quattro accordi che fai meno danni e smetti di sminuire il genere che ti viene più o meno bene).
Ci tengo a dire che questo mio discorso su chi suona in acustico NON HA NULLA A CHE VEDERE con il buon Andy Kaam che appunto ho ascoltato (nemmeno visto) molto distrattamente e che non posso permettermi di giudicare, ma un discorso che faccio per cercare di limitare questa piaga degli omini con la chitarrina ai concerti punk che spero andrà sempre più ad affievolirsi (tranne Massi Lanciasassi, lui anzi lo vorrei vedere più spesso).

Pochi minuti dopo le 21.30 iniziano le Courettes. Sono un duo, lui danese lei brasiliana, che fa coppia anche nella vita; lui alla batteria, lei alla chitarra e voce, suonano un mix di rock anni ’60 stile Brit Invasion, garage rock da compilation Nuggets scassate, surf e beat. Avevo orecchiato alcune delle loro canzoni per prepararmi al concerto e, sebbene non mi facessero impazzire, non mi sembrava fossero male. Mi bastano poche canzoni, però, a farmi completamente ricredere. E qui temo che sarò un po’ cattivello, perché li ho trovati non solo innocui e un po’ noiosi musicalmente (è inevitabile che se pubblichi dischi con centomila sovraincisioni, duecentomila riverberi, quattrocentomila tamburelli e seimila milioni di trucchetti vintage vari, una volta che suoni dal vivo, in due, con una strumentazione standard, ci sia un abisso rispetto al disco), ma anche insopportabili come impatto. Sono in due, quindi mi aspettavo anche un po’ di scenette varie per tenere alta l’attenzione; non solo, ma un gruppo che pesca a piene mani dall’immaginario anni ’50/’60 ci sta che faccia dei richiami anche estetici all’epoca, e ci sta un po’ di esagerazione e di “tongue in cheek”, come dicono quelli bravi. Quindi ti perdono, ad esempio, il fatto che in una giornata dove c’erano 40 gradi all’ombra stai suonando con la giacca di pelle, fa parte del gioco.
Però, dopo qualche canzone, magari potresti fare meno mossette e meno cinema perché dovrebbe essere la musica a parlare per te. A me invece sembrava di essere al circo, con uno spettacolo montato ad arte per i gonzi, che però, al netto di tutti i fuochi d’artificio, a me ha trasmesso meno di zero. Un’ora di concerto tra le più noiose a cui mi sia mai capitato di assistere, anche perché per il 60% del tempo il gruppo si dedicava a feedback, fuzz, riverberi di chitarra o discorsi insensati, dedicando alla musica sì e no il 40% del tempo. Fino a che alla noia non è subentrato il fastidio. E infatti sul finale non si fanno nemmeno mancare la cosa più inutile e leccaculo che una band possa fare, cioè il selfie dal palco con i gonzi… ehm, volevo dire la gente, sullo sfondo. Un appello a tutte le band: smettetela con sta cazzata del selfie, davvero.
“Ever get the feeling you’ve been cheated?” diceva qualcuno, e devo dire che mai frase mi è sembrata più vera.

Dopo un set del genere avrei apprezzato di tutto, anche un concerto di Elodie (secondo me almeno lei i selfie dal palco non se li fa), ma i Midnight Kings (che suonano sul palchetto piccolo a lato del bar) sono bravi da vendere, e non avrebbero sfigurato nemmeno se prima di loro si fosse esibito un gruppo vero. Cioè, anche loro si divertono facendo spettacolo, vestendosi tutti pazzi, giocando col pubblico, saltando di qua e di là. Però loro sanno suonare, e non intendo solo a livello tecnico (anche se pure a livello tecnico fanno un culo così a tantissimi altri): il loro è uno show che funziona sia a livello visivo, che a livello musicale, che a livello di partecipazione del pubblico. Loro sì che mi hanno trasmesso delle emozioni, mi hanno fatto ballare, saltare e cantare. Con loro mi sono divertito. Poi loro saranno magari meno cool perché sono più vecchi e più brutti della signorina Courettes, perché sono vestiti meno alla moda, perché per descriverli non bisogna usare frasi come “il wall of sound di Phil Spector”, perché fanno punk rock selvaggio e se li fai ascoltare a qualche critico stracciamaroni magari non gli piacciono perché non gli ricordano le atmosfere dei film di Tarantino. Ma i Midnight Kings sono una grandissima eccellenza del punk n roll italiano, l’equivalente musicale di un piatto di mocetta con una bottiglia di Baloss di contorno…
Per quelli (spero pochi) che non li conoscono i Midnight Kings sono un mix spericolato tra il punk rock più selvaggio e primigenio e il rhythm and blues o il rock and roll più oscuro e sporco, che sconfina addirittura nel gospel. Suonano a palla un pezzo dietro l’altro, senza mollare per un attimo, e la loro mezz’oretta (abbondante) vola via in un battito di ciglia. Sì perché la scelta degli organizzatori è piuttosto particolare, con il concerto dei Midnight Kings diviso in due tronconi, prima e dopo i Manges.

Si torna infatti sul palco principale per lo show di quello che è uno dei gruppi più longevi di punk rock in Italia (e in Europa). E’ un po’ di tempo che non vedo i Manges dal vivo e me ne dispiaccio: credo che sia uno di quei gruppi che andrebbero visti con regolarità almeno due volte l’anno, come una medicina contro le brutture della vita. Anche loro, come i Midnight Kings, non perdono tempo e suonano, suonano, suonano, macinando una canzone dopo l’altra senza pause e senza pietà. Questo è quello che ci vuole!
E anche se anche probabilmente non è il miglior concerto dei Manges a cui abbia assistito (ho perso il conto del numero preciso, ma siamo sicuramente nell’ordine di qualche decina), il peggior concerto dei Manges (che comunque non è questo, tutt’altro) equivale al miglior concerto di decine di altri gruppi, quindi direi che siamo in una botte di ferro.

Spazio a diverse tracce del nuovo (vabbè nuovo, ormai è di quasi un anno fa) disco “Book of hate for good people”, e poi i soliti grandi classici, anche se le canzoni più vecchiotte in scaletta sono sempre un po’ meno (davvero niente più “I’ll Take You To Hawaii”?). Comunque, la produzione dei Manges è sempre di alto livello, per cui le canzoni sono sempre piacevoli e frizzanti. Come piacevole e frizzante è il loro concerto; Manuel alla batteria è semplicemente IL batterista punk rock, non sbaglia un colpo di 4/4 penso dal 1998, Andrea alla chitarra e voce tiene le redini del gruppo e Mayo stasera sembra anche più carico del solito, mentre al basso Zannoni tiene tutto sotto controllo.
Il concerto sarebbe quasi una semplice routine (comprensivo del solito Reagan mascherato con cartello “All is well”) se, per ironia della sorte poco prima di “Summer’s gone”, non cominciasse prima a soffiare un vento che non promette nulla di buono, e dopo a piovere via via sempre più forte. E, se il palco è coperto, lo stesso non si può dire dello spazio riservato al pubblico.
Eppure nessuno fugge via (no, beh, credo che molti lo abbiano fatto), e si resiste pogando e ballando sotto la tempesta, mentre il quartetto spara le ultime cartucce con “My rifle”, “I’m a monkey”, “Blame game” e la conclusiva “I’m not a sissy”, tratta dall’ultimo album ma già un classico.

Bagnatissimi ma felici ci rifugiamo sotto il tetto del bar/ristorante, con la pioggia che non accenna a diminuire, anzi, è diventata una vera e propria maledettissima tempesta!
Una sapiente mossa a sorpresa dell’organizzazione “ruota” il palchetto dei Midnight Kings di 90 gradi e ci permette di assistere alla seconda parte del loro concerto all’asciutto.
Purtroppo, poiché tutta la gente che non ha fatto in tempo a fuggire prima è letteralmente bloccata sotto la tettoia e il lato all’asciutto è il lato corto del palco, la gente è letteralmente accalcata, il che rende complicato muoversi, ballare o respirare, per cui la seconda parte del concerto me la godo molto meno rispetto alla prima (non per colpa della band o dell’organizzazione, che han fatto il possibile, solo per colpa del maltempo). Il bar è inavvicinabile, ed in generale la sensazione è di essere lì per obbligo (AKA per non annegare sotto la pioggia) più che per scelta. La gente è comunque presa bene e la band ci dà dentro fino all’ultimo, però ormai io personalmente non ce la faccio più. Appena finito il concerto, non appena la pioggia si fa leggermente meno fitta ce la filiamo (spoiler: comunque arriviamo alla macchina completamente bagnati, proprio da strizzare)… un triste finale non all’altezza di una bella serata!

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