Sham 69- Tutti gli album, dal peggiore al migliore- Parte 1

Gli Sham sono stati un grande gruppo punk originale e allo stesso tempo senza di loro non sarebbe esistito l’Oi. Hanno scritto canzoni che hanno passato la storia del tempo, che sono stati coverizzati innumerevoli volte, e sono stati più longevi, più prolifici e più musicalmente vari di quasi tutte le altre punk band. Le loro performance dal vivo sono leggendarie, e hanno scritto dei testi se non profondi, sicuramente interessanti. Eppure molti fanno fatica a riconoscerlo. Per molti è come se fossero ancora scomodi, e una parte dell’intellighentzia punk non li ha mai davvero presi sul serio, come se fossero solo quelli di “If the kids…”.

Ritengo sia ingiusto. Personalmente sono stati uno dei primi gruppi che abbia ascoltato, e quando li vidi dal vivo per la prima volta 19 (!!!) anni fa, al mio primo concerto all’estero, mi fecero letteralmente esplodere la testa. Ancora oggi credo che quell’esibizione sia tra i migliori tre concerti della mia vita.

Ho provato (ed è stato davvero difficile) a mettere in ordine tutti i loro album di inediti, scrivendo anche qualcosa sulla storia di ogni album. Spero possa essere interessante e che magari possa spingere qualcuno ad approfondire…

AVVERTENZA:

Ovviamente non sono prese in considerazione raccolte, compilation, live, singoli (come quello con Jimmy Edwards alla voce). Vista la discografia “problematica” della band, preciso che non vengono presi in considerazione:

  • gli album del periodo successivo al 2010, quando Parsons e Pursey si riunirono e Tim V decise comunque di tenersi il nome Sham 69 tirando dentro il povero Neil Harris per dare una qualche legittimità alla band. Ritengo assolutamente canonico il periodo in cui, gli altri membri del gruppo decisero di “licenziare” Jimmy Pursey prendendo un nuovo cantante, ma penso che Parsons avesse tutte le ragioni di sciogliere la nuova band quando voleva lui, avendola di fatto creata. Ho sempre considerato gli Sham 69 di Tim V (dal 2011 in poi) una simpatica cover band per tutti i locali e i promoter che non potevano permettersi gli Sham originali, d’altro canto in formazione c’erano Neil Harris (che era rimasto tipo 5 minuti nella band ma formalmente è un membro fondatore del gruppo), Ian Whitewood (che qualche diritto può anche vantarlo) e Tony Feedback (a cui avendo suonato negli Angelic Upstarts e nei Long Tall Shorty nessuno può dire un cazzo), ma il fatto che nel 2023 (dopo che Neil e Tony sono passati a miglior vita) ancora Tim V si ostini a portare avanti un sito il cui dominio è “officialsham69” comincia a diventare patetico.
  • gli album solisti di Jimmy Pursey, anche quando (come in “Revenge’s not the password”) sono stati pubblicati con il moniker “Sham 69’s Jimmy Pursey
  • Il progetto Day 21, ovvero (dopo la scissione) Jimmy Pursey con Matt Sargent al basso e The Reverend e Snell dei Towers of London (che hanno effettivamente suonato agli inizi con il moniker Sham 69)

12- Volunteer (1988)

Versione breve: una merda

Versione lunga: dopo alcuni dischi solisti economicamente disastrosi, Jimmy Pursey torna a stare a Hersham a fine ’86 e si reincontra con Parsons, finendo per fare alcune date in UK e Germania. La line up comprende Andy Prince al basso, Ian Whitewood alla batteria, Tony Bic alle tastiere e Linda Paganelli al sax.

La band firma con la Legacy e Jimmy Pursey in un’intervista del 1987 afferma: “Siamo sempre stati e saremo sempre una punk band… siamo tornati perché in questo momento la scena musicale è in uno stato pietoso”.

Beh, cazzo, Jimmy, con questo disco non credo che l’abbiate migliorata!

Una sorta di copia sbiadita e senza grinta di Billy Idol meets Aerosmith meets Bon Jovi, con un sax inopportuno, qualche synth pieno stile anni ’80 e una batteria pomposa, il tutto sovraprodotto nella più classica cialtronaggine.

L’unica cosa che si salva è la voce che ogni tanto rende qualche pezzo sopportabile e qualche lavoro di chitarra bene eseguito. Per il resto, davvero, sembra uno scherzo…

11- Hollywood hero/ Western Culture (2007)

Il disco dello scandalo, se vogliamo. Nel 2006, alla vigilia del trentesimo anniversario della band, Pursey decide, in occasione dei mondiali in Germania, di ri-registrare “Hurry up Harry” con nientemeno che Graham Coxson dei Blur (singolo che arriverà al numero 10 della classifica UK).

Il resto della band (non invitato alla sessione) non la prende molto bene, per cui qualche mese dopo Parsons e Whitewood decidono di licenziare in tronco Jimmy Pursey rinfacciandogli il poco interesse per i concerti live e accusandolo di cancellare date senza particolare motivo (da quel che si dice, l’accusa non è proprio campata in aria). Pursey dal canto suo, parlando con NME, paragona il gesto “all’ammutinamento del Bounty”.

Ad ogni modo a marzo 2007 gli Sham 69 si presentano a Woking per suonare dal vivo con Tim Scargill AKA Scazz AKA Tim V alla voce, un ex hooligan del Millwall da sempre attivo frequentatore della scena punk, mentre il quattro corde passa a Rob Jefferson.

Pursey fa qualche resistenza (ma nemmeno troppe) e fonda i Day 21, mentre gli Sham 69 vanno in tour negli USA e dopo poco tornano in UK per registrare (la batteria nel Sussex, il resto nel Kent) un nuovo disco, che esce in USA come “Hollywood hero” e in Europa come “Western culture” (scelta piuttosto particolare, non trovate?).

In generale il disco forse non è brutto: è noioso. Sicuramente poco ispirato: punk classico, un po’ ripetitivo, probabilmente scritto in fretta e furia. Altro problema è la voce di Tim V (credo alla prima esperienza in studio) che non si avvicina nemmeno lontanamente a quella di Pursey, contribuendo alla piattezza generale. C’è qualche pezzo non male, ad esempio “I don’t believe a word” (cantata da Dave Parsons) o “I love her” (dove sento qualche eco degli Heartbreakers), ma nulla che sia davvero memorabile.

Peraltro anche la grafica della versione USA contribuisce alla piattezza generale: sembra un CD fotocopiato (se volete comprarlo meglio la versione europea della Bad Dog)!

Un disco così apprezzato che non c’è nemmeno in versione “Full album” su Youtube…

10- Soapy water and Mister Marmalade (1995)

Descritto dalla band come un concept album “a tema soap opera inglesi e marijuana” (giuro), Soapy water and Mister Marmalade uscì nel luglio del 1995, a un paio d’anni di distanza dal singolo “Action time vision”, 4 pezzi che comprendevano i due inediti di Kings & Queen, oltre alla classica “Hey little rich boy” e a “Bosnia”, un riadattamento di “Ulster” con il testo cambiato.

La line up è limitata al duo Pursey/Parsons con Darren Courtney, Max Coon, Dylan Brown e James Andrews accreditati come “musicians”; niente Ian Whitewood, alla batteria c’è tale Sonny Boy Williamson (non accreditato).

In una parola: noioso. Un disco rock mid tempo in stile “Information libre” più incentrato sulle chitarre ma con meno estro e anima. Canzoni troppo lunghe (a parte una, tutte sopra i 3 minuti e mezzo). Si salva “Alice” e poco altro.

9- Information libre (1992)

Meh. L’inizio con la cover di “Break on through” dei Doors è un’ulteriore conferma delle radici 60’s della band (ma è anche straniante, pensate al me teenager che compra questo disco tutto contento di aver trovato un cd degli sham e poi arriva a casa e lo mette nello stereo).

Il resto è rock-pop con veramente tante tastiere e un po’ di sax, a volte piuttosto moscio (“Uptown”, “Caroline’s suitcase”), altre volte più ispirato (“Information libertaire”, “Breeding dinosaurs” e “King Kong drinks coca cola”, che sembra quasi un pezzo punk ed è il migliore del lotto).

La line up si allarga, oltre a Linda Paganelli al sax si aggiunge Patricia Bastian alle tastiere, per aggiungere un po’ di femminilità alla band e allontanarsi dall’immagine “troppo macho” del gruppo (parola di Jimmy).

Disco difficile da definire, diciamo che non è fastidioso né offensivo verso l’ascoltatore, semplicemente è ben lontano dall’essere memorabile. Sicuramente raggiunge la sufficienza, se stiracchiata o piena dipende dai vostri gusti…

Wow! Anche questo vi tocca cercarvelo per intero…

8- Kings & Queens (1993)

Ero piuttosto indeciso se inserire quest’album in lista oppure no: in fondo si tratta di due soli inediti (uno, “Action time vision”, è una cover dell’immortale pezzo degli Alternative TV, mentre “Reggae Giro” è una sorta di reggae dub su una folle parte recitata con un tizio che chiama il suo cane- di nome, appunto, Giro-, in soldoni un aggiornamento di “Reggae pick up” in That’s life) che si aggiungono a otto canzoni riregistrate; in pratica (dicono) come loro stessi concepivano la musica degli Sham 69 nel 1993.

Gli 8 pezzi ripresi sono relativi solo al periodo 76-78 (niente Hersham Boys o The Game, quindi): 5 apparsi su “Tell us the truth” (“Ulster boy”, “They don’t understand”, “Tell us the truth”, “Borstal breakout” e “Family life”), 1 su “That’s life” (“Hurry up Harry”) e 2 singoli (il loro debutto “I don’t wanna” e “If the kids are united”).

Pursey consiglia l’ascolto “in walkman, prendendo il treno avanti e indietro da Londra a Glasgow” (molto poetico, non è vero?).

E’ davvero difficile parlare di quest’album, anche considerato che la band stava andando musicalmente in tutt’altra direzione; dal punto di vista tecnico-musicale sicuramente la band era migliorata e aveva assorbito tante altre influenze, ma allo stesso tempo si sente che la registrazione e la produzione sono inferiori (qui più che suonare la batteria sembra che picchino su dei bidoni). Però boh, l’idea è in qualche modo romantica, non che poi le nuove registrazioni cambino chissà che, e i pezzi sono tutti dei capolavori, roba che non riuscirebbero a rovinarli nemmeno i Maneskin feat Achille Lauro…

Un disco per completisti, ma decisamente non brutto.

Non sapevo che avessero fatto un video… se non causasse un attacco epilettico sarebbe anche notevole

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